«Quella creatura delicata è come se avesse concentrato ogni sua forza nel canto, come se tutto ciò che non serve al suo canto fosse privato di ogni energia, quasi di ogni possibilità di vita, come se lei fosse spogliata, esposta, affidata solo alla protezione di spiriti buoni, come se un alito di vento freddo potesse ucciderla passandole accanto mentre lei, sottratta a se stessa, dimora nel canto.» F. Kafka
Un progetto di e con Michele Baronio e Tamara Bartolini
drammaturgia Tamara Bartolini
luce Gianni Staropoli
suono Michele Boreggi
tecnica e regia video Marco D’Amelio
costumi e collaborazione alla scena Marta Montevecchi
collaborazione al progetto Raffaele Fiorella, Margherita Masè, Francesco Raparelli
regia Bartolini/Baronio
direzione di produzione Alessia Esposito
organizzazione Elisa Pescitelli
produzione 369gradi e Bartolini/Baronio
in collaborazione con Teatri di Vetro, Teatro del Lido di Ostia
con il sostegno di Teatro di Roma – Teatro Nazionale | Centro di Residenza della Toscana (Armunia Castiglioncello – CapoTrave/Kilowatt Sansepolcro) | Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura | Carrozzerie n.o.t | Residenza artistica nazionale Centro Jobel
…. grazie a tutte le voci che abbiamo incontrato e registrato durante la ricerca
SINOSSI
Poco prima di morire Franz Kafka scrive il racconto Josefine, la cantante ovvero il popolo dei topi in cui una topolina, Josefine, cantando scatena un’emozione tanto forte da fermare la corsa senza sosta dei topi. Il canto di Josefine, atto taumaturgico, evoca un popolo che, in un tempo di estasi e grazia, dimentica sé stesso e si raccoglie attorno all’artista, alla gioia infantile del gioco.
Nello spazio scenico il suo canto attraversa dimensioni temporali storiche e biografiche e diventa parte di noi, risuona e rigenera. Il corpo è in ascolto della sua frequenza e diventa archivio di immagini collettive in cui la figura di Josefine sembra moltiplicarsi in storie di corpi martirizzati dagli effetti della crisi etica, esistenziale, economica, sociale del presente. Proprio in quelle voci ritroviamo le sensibilità di gesti che sembravano impossibili, ma che hanno spostato la percezione collettiva e hanno fatto compiere un salto atletico alla storia. Allora la nostra Josefine prende quei gesti e li fa diventare segno, ripercorre le nostre biografie e di quelli che abbiamo incontrato, crea un controcanto della storia umana con quel fischio flebile in cui «c’è qualcosa della nostra felicità perduta», scrive Kafka, qualcosa che «libera anche noi», anche se per breve tempo, «dalle catene della vita quotidiana». Sulla scena resta il corpo dell’attore a contenere tutte queste voci, il corpo che non può fare a meno di cantare.