“Tra 50 anni il modo in cui ci occupiamo di chi chiede asilo sarà considerato un crimine contro l’umanità. Lo facciamo ad occhi ben aperti, coperti dalle leggi, con le forze dell’ordine e con dei trucchetti schifosi guardiamo dall’altra parte. Un giorno ci troveremo di fronte al tribunale dell’umanità e i nostri figli e nipoti saranno schifati. E noi diremo: da parte nostra, non l’abbiamo espressamente voluto. E se continueranno a chiedere, cosa dovremo dire se non: stavamo solo facendo il nostro lavoro?”

Sono gli aiutanti illegali i protagonisti di questo spettacolo, i personaggi raccontati da Maxi Obexer nel suo testo. Sono dottori, studenti, insegnanti, giudici, avvocati, assistenti sociali, uomini e donne qualunque che mettono a repentaglio esistenza e lavoro. Persone comuni che segretamente, tutti i giorni, si prendono il rischio di intervenire per aiutare i migranti e i richiedenti asilo a passare i confini, affrontare i colloqui, trovare riparo, offrendo loro protezione e alloggio e salvandoli, così facendo, dal rimpatrio forzato.

Sono le loro testimonianze dirette che vengono sussurrate allo spettatore, ma loro non si vedono, sono voci, possiamo solo sentirli, immaginarli, capirne le motivazioni e seguire i passaggi delle scelte.

Una sola attrice, Simonetta Solder, è in scena e costituisce un ponte con il pubblico, è lei che mette in dubbio le proprie scelte e la propria vita a partire dalle scelte degli altri.L’interprete-guida è inizialmente in mezzo al pubblico, si confonde con loro, solo dopo l’inizio dello spettacolo emerge, e inizia a far domande alle voci, a interrogarsi e interrogare il pubblico.

Essere fra gli altri ed esserci consapevolmente: una voce registrata in cuffia e al contempo una voce guida dal vivo condurranno il pubblico tra le storie degli aiutanti illegali, in un percorso di ascolto alimentato e ricreato dalle sonorità vibranti di una partitura emotiva. Essere presenza-assenza, spettatori-attori.

Chiunque di noi potrebbe essere un aiutante illegale, ognuno di noi si trova a chiedersi “cosa farei al posto loro? “, “che tipo di persona voglio essere?”

Lo spettacolo è immaginato proprio per essere adattato a diversi spazi, teatrali e non, al chiuso oppure all’aperto, con una quantità di pubblico variabile che può essere situata nello spazio secondo le necessità. La presenza di un’unica attrice in

uno spazio scenico dalle dimensioni modificabili garantisce il distanziamento necessario dagli spettatori

Partendo da una riflessione accurata sull’anatomia del testo e come risposta alla responsabilità data da un’opera in cui il dato di realtà entra con così tanta forza e peso, Paola Rota e Simonetta Solder hanno costruito un dispositivo site-specificnutrito da una drammaturgia musicale ideata e sviluppata da Teho Teardo.

Musicista di fama internazionale, compositore e sound-designer, Teardo ha realizzato un ambiente sonoro originato e, in qualche modo, provocato dalla drammaturgia stessa del testo, in una risonanza di suggestioni e visioni.   

Il pubblico dall’inizio viene dotato di una cuffia e da subito inizia una esperienza sonora immersiva. Non c’è scenografia, il paesaggio è sonoro, ma un impianto site specific di luci creato da Andrea Violato crea atmosfera di volta in volta, accordandosi allo spazio scelto.

APPUNTI SUL TESTO

Illegal Helpers è un testo teatrale composto da interviste e dialoghi che Maxi Obexer ha registrato in 4 diversi paesi europei. L’autrice è italiana, è nata a Bolzano, ma di cultura tedesca, vive a Berlino. L’Italia non è tra i paesi che il testo analizza.

Gli intervistati sono Illegal Helpers: aiutano i migranti e i richiedenti asilo, aiutano chi non ha nessuno status legale, li salvano dalla deportazione, offrono loro protezione e alloggio, o li aiutano a passare il confine.

Alcuni sono già stati condannati, altri mettono a repentaglio il loro lavoro e la loro esistenza. Fanno parte della società, sono dottori, studenti, insegnanti, giudici, avvocati, assistenti sociali.

Nel testo s’indagano le motivazioni profonde, le difficoltà, le paure, i momenti in cui nonostante gli sforzi l’aiuto risulta vano, le sconfitte.

E’ un testo molto vicino al documentario, un documentario teatrale, e ovviamente non potrà mai essere un documentario perché è fondamentale che le persone intervistate rimangano anonime. Sono voci, testimonianze, che pongono una domanda etica: cosa faremmo noi al loro posto?  La tesi a cui arriva l’autrice è piuttosto dura: siamo in guerra ed è in corso un genocidio. Possiamo anche fare finta di niente, dall’alto della nostra fortezza Europa, ma ci siamo in mezzo. E se personalmente non facciamo nulla diventiamo complici.

Siamo oberati di informazioni ma nonostante, anzi forse a causa dell’eccesso di informazione, siamo annichiliti, immobilizzati sui nostri divani a guardare immagini e sentire notizie a cui siamo anestetizzati. Le informazioni non diventano mai conoscenza, non avvicinano, allontanano, alienano.

Il testo spinge all’azione: uscire dal mondo dell’informazione è possibile se si comincia ad agire.

Nel finale del testo ci sono due testimonianze delle voci dei personaggi più giovani:

Non voglio più sapere chi voglio essere, voglio esserlo e basta. Le 500 persone astratte che non salverò saranno 5 persone reali per le quali sarò in grado di fare qualcosa.

E l’epilogo

Tutte le paure, gli inconvenienti e i dubbi che avevo, tutta la negatività, scaturita dal mio coinvolgimento, sono sciocchezze. Non parliamo di materiale dal quale estrapolare un’epopea eroica. Di solito va così: trascorri un paio d’ore al giorno, con delle persone che sono attraversate da tutta una serie di emozioni esistenziali, di merda: paura, rabbia, odio, preoccupazione, disillusione. E questo, ti tocca. Non ti lascia indifferente. Ma in fondo, non sei tu a subirne le conseguenze. La sera, puoi comunque scegliere di sbronzarti o trovare un altro modo per uscire da questo contesto problematico. I diretti interessati no.  Questo non ha niente a che vedere con la Resistenza, per come la intendo io.  A questa parola io collego soprattutto quelle persone, che durante il Nazismo, hanno aiutato gli altri. Per me questo è un concetto riservato solo a quelle persone. Potrebbe essere anche giusto per quelli che rischiano, per essere solidali con gli altri. Io questo non l’ho fatto. Il mio impegno politico mi ha danneggiato solo marginalmente. Anche se le cose mi fossero andate storte, se mi avessero beccato: le conseguenze non sarebbero state tali, dal non potermi più riprendere. 

“Finchè tu soffri per te, per la tua fame, per la miseria tua, della tua donna, dei tuoi figli. Finche ti avvilisci e ti rassegni tutto va bene. Sei un buon padre di famiglia, un buon cittadino. Ma appena tu soffri per la fame degli altri, per la fame dei figli degli altri, per l’umiliazione degli altri, allora sei un uomo pericoloso, un nemico della società”.

Questa frase di Curzio Malaparte era citata in un bellissimo articolo di Roberto Saviano, che finiva esortando tutti “ad essere uomini e donne pericolosi. È l’unico modo, questo, perché le vite di ciascuno di noi abbiano davvero un senso.”

di Maxi Obexer
un progetto di Paola Rota, Simonetta Solder, Teho Teardo
con Simonetta Solder
Voci registrate di Luigi Diberti, Luigi Di Majo, Pietro Faiella, Silvia Gallerano, Giorgio Marchesi, Orietta Notari, Irene Petris, Francesco Bolo Rossini
Traduzione di Sonia Antinori
Produzione PAV/Fabula mundi Playwriting Europe-Beyond Borders

domenica 26 Settembre – 19:00
19:00

Teatro Fellini Pontinia

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